Capitolo terzo
CONDIZIONI SOCIO ECONOMICHE DELLE CLASSI POPOLARI DELLA PROVINCIA DI COSENZA
Il 1900 fu un’alba amara per i lavoratori calabresi, costretti alla miseria, alla repressione, ai soprusi. Un avita durissima conducevano i contadini della provincia di Cosenza. La giornata lavorativa durava dall’alba al tramonto, compensata da una irrisoria paga e da uno scarso pasto, il cosiddetto “murzieddru” ( al mattino ), e una colazione a freddo a mezzogiorno. Le forze di lavoro venivano reclutate nei giorni di festa, nella piazza principale del paese, dai padroni e dai loto amministratori. Un mercato umano, una completa umiliazione nel vedere i contadini dagli occhi rossi ed il volto abbronzato dal sole, con le pezze al culo e alle ginocchia dei pantaloni, per scarpe un pezzo di gomma ai loro piedi, allacciati fin sotto il ginocchio (detti porcini ), senza giacche, ma con maglioni grezzi di lana di pecora non cardata, ma anche quest’ultimi con pezze ai gomiti e rattoppi vari. Salivano dalla campagna al paese la mattina del giorno di festa, per sedersi sulle panche di pietra nella piazza principale, ed aspettavano ansiosamente l’ingaggio per la prossima settimana, aspettavano pensierosi e tristi la grazia di quel misero e amaro lavoro, che per loro era sopravvivere e nello stesso tempo tortura. Le loro case erano con pietre ed argilla e qualcuna anche a calce, sostenute dai barbacani agli spigoli, per maggior sicurezza del fabbricato, evitando il pericolo di crollo. Le case, tute piccole, quasi uguali con il tetto e tegole tonde, senza intonaci esterni, le finestre senza vetri, prive assolutamente di servizi igienici; ed i loro bisogni dovevano essere consumati fuori all’aperto sia dalle donne che dagli uomini. La loro stanza da letto era il “cannizzo” ( o meglio il soffitto), dove dormiva l’intera famiglia: padre, madre, figli e a volte anche i suoceri. Il letto era composto di tavole su panche di ferro e per materasso il famoso pagliericcio di federe di granturco. La mobilia: una cassa per la biancheria, un comò alla meglio e qualche sedia di paglia; nei cassetti: stracci e qualche fotografia ricordo; il pavimento ad argilla battuta; nella loro cucina col focolare, vi era un tavolo rudimentale, delle panche di legno, alcuni utensili domestici appesi al muro assieme agli attrezzi di lavoro, vecchie luci ad olio, ima madia per fare il pane, delle figurine di santi appese al vetro di una affumicata cristalliera, i ferri da cavallo ed i corni appesi sulla porta di entrata con la scritta 8 e 9, per tener lontano il malocchio dalla casa. Ancora in cucina, una cassa piena di fichi secchi, ma inchiodata per aprirsi solo nel mese di maggio quando le giornate erano più lunghe perché solo allora venivano mangiate i fichi secchi assieme al pane di granturco tenuto sulla grata di legno. Sottostante alla cucina il seminterrato dove alloggiavano gli animali: maiali, galline, e l’asino. Il lavoro era tutto manuale, non esistevano le scorte morte, ma soltanto le vanghe, i picconi, la falce ecc…La loro economia era prettamente basata sul risparmio, la loro alimentazione consisteva soltando nella consumazione dei prodotti della terra, ma non di tutti i prodotti, in quanto per loro la carne e la pasta, fatta a casa, erano un lusso tanto da poterli mangiare nelle maggiori feste dell’anno. I contadini o coloni, quelli che avevano la terra in fitto dai padroni, non avevano vita migliore di quelli che lavoravano alla giornata, e le condizioni di affitto erano molto rigide.
a) Esempio di contratto di colonia parziale
Contratto di colonia parziale di un fondo di tomolate undici nel comune di Rende. Il Sig. S.C. proprietario fitta a R.L. colono il fondo denominato piazza Veteri di tomolate undici (con 160 piante di ulivo, 100 peschi, 7 nespoli, 4 ciliegi, 150 fichi, 5 noci, la vigna e 45 pergoli), per la durata di anni uni alle seguenti condizioni: l’affitto annuo consiste nel pagare il terraggio in 5 tomole di grano e 4 di gran turco, un ottavo di ceci, un ottavo di fagiola secca, 50 kg di pomodori, le olive a terzo, (cioè un terzo al colono e due terzi al padrone). Frutti d’estate a metà, frutti d’inverno a terzo, più di fichi al padrone.
Il colono ha l’obbligo di crescere due maiali da spartire successivamente col padrone a suo tempo (l’acquisto dei maialetti spetta ala padrone). Il fitto viene integrato da due mange per ogni settimana in relazione ai prodotti, del suolo, da un panierino di fichi freschi al mattino per tutta la durata della raccolta degli stessi, dalla stima a Natale e ferragosto di un pollo e venti uova a Pasqua. Il colono ha l’obbligo di concimare con stallatico le piante di ulivo compresi gli ortaggi, di custodire il bosco da buon padre di famiglia senza potervi legnamare. Il padrone ha facoltà di far periziare i prodotti degli alberi, inoltre si riserva il libero accesso nel fondo sempre ed ovunque. Il colono deve pagare il pedatico per qualsiasi animale che alleva nel fondo. La casa va compresa nel fitto del fondo.